In Italia esiste un organo delle
forze dell’ordine, la “Polizia Postale”, incaricato di operare in merito a
tutti i reati che possono essere compiuti via rete.
Vi è poi l’art. 21 della
Costituzione sulla libertà di pensiero in cui è scritto espressamente che non
può essere soggetta ad autorizzazione o censura.
Quindi il diritto di critica
viene garantito dalla massima legge dello Stato.
Vi è infine la magistratura che è
chiamata a far rispettare le normative dello Stato.
Vi sono poi dei social network
gestiti da società private, prevalentemente americane, in cui confluiscono
giornalmente diversi post relativi ai temi caldi del momento, costituiti di
fatti e di prese di posizione espresse a volte in modo molto colorito.
All’interno di uno di questi
social, Facebook, sono state introdotte forme di controllo e monitoraggio (“fact-checker”,
in italiano “verificatori di dati”) dei post circa la loro attendibilità e veridicità,
che vengono attuate da entità private presumibilmente esperte nel campo.
Fin qui, sembra tutto chiaro.
Però, purtroppo in questi ultimi
anni i “fact-checker” sono spesso andati oltre i loro compiti iniziali portando
di fatto Facebook ad avere un servizio di censura interna non ammesso dal
nostro ordinamento e andando a volte ad arrogarsi provvedimenti che dovrebbero rientrare
invece nella sfera esclusiva della polizia postale.
La questione parte dall’accertamento
dei fatti che non sempre appaiono così chiari ed inconfutabili.
Specie in ambito scientifico, in
cui il dubbio è (o dovrebbe) essere alla base di ogni azione e pensiero, i “fact-checker”
hanno letteralmente cancellato diversi post, perché sono tranquillamente convinti
che vi possano essere dei dogmi, ovvero delle verità scientifiche che non possono
essere sottoposte a contradditorio.
Nel mondo scientifico affermare
questo e comportarsi di conseguenza è assolutamente ascientifico.
Farlo poi senza essere esperti
autorevoli e riconosciuti in campo medico scientifico è la dimostrazione ulteriore
di una volontà volta a preferire certe “verità” ad altre.
Il caso del Professor Montagnier
rimane emblematico in tale contesto come pure quello del compianto Dottor De
Donno.
Sbeffeggiati e ostacolati da vivi
dall’insieme del Mainstream, i post relativi alle loro ricerche e conclusioni
(non opinioni) sono stati puntualmente cancellati o comunque non è stata data
loro una visibilità tale da consentire la presenza di un confronto scientifico
sereno e pacato sul Covid-19.
Oggi le loro teorie e conclusioni
sono invece riconosciute come valide ed applicabili dall’insieme della comunità
scientifica internazionale che proprio grazie al confronto di varie esperienze
si è trovata concorde nell’affermare tali conclusioni.
Ovviamente, ai “fact-checker” sfugge
il fatto che se non vi è confronto non vi può essere scienza.
Ma andiamo oltre.
In questo periodo di campagna
elettorale (ma accadeva già prima) si sta assistendo ad una recrudescenza da parte
dei “fact-checker” nel sanzionare diverse posizioni che vengono espresse dagli
utenti, ricorrendo a volte a forzature interpretative di certi post o a vere proprie
bufale (eh sì, a volte ci cascano anche loro oppure fanno finta di niente) come
ad esempio nel caso dei cambiamenti climatici.
Emblematica rimane la censura
operata dal noto “fact-checker” Open nei confronti di un post importante pubblicato
da Radio Radio circa la recente sentenza del Tribunale di Firenze sul reintegro
professionale di una psicologa per via di posizione assunte nei confronti della
campagna vaccinale anti-covid.
Per sostenere la propria
decisione Open è giunta perfino ad interpretare in modo del tutto fuorviante ed
arbitrario il termine “sentenza” che invece sul piano lessicale risulta chiarissimo
quanto del tutto inconfutabile.
L’azione di Open avrà ora delle
ripercussioni giudiziarie perché Radio Radio si è ritrovata lesa da un comportamento
assolutamente fuori luogo e che dovrà essere giustamente valutato da un
giudice.
Detto questo, non si può avvalersi
di simili sotterfugi per impedire la diffusione di notizie e nemmeno ostacolare,
ridurre o cancellare espressioni di pensiero che possono andare in netto contrasto
con quelle pubblicate in modo dominante dal Mainstream.
E quindi appare evidente che questi
verificatori di dati in questo caso vanno ben oltre i loro compiti e si arrogano
di fatto quelli che rientrano nella competenza esclusiva della Polizia Postale.
Infatti, se vi sono delle violazioni
espresse all’art. 21 della Costituzione in cui coloro che esprimono le proprie
posizioni lo fanno in modo calunnioso, diffamatorio, violento o incivile, vi è
un Codice penale con diversi articoli che prevedono il perseguimento di tali
reati.
E spetta soltanto alla Polizia
Postale accertarli non ai “fact-checker”!
Facebook è una società americana
e i fact-checker possono avere varie origini, ma tutte queste entità devono rispettare
in toto l’ordinamento giudiziario di ogni Paese in cui operano, in questo caso
quello italiano.
Perché se non viene riconosciuto
questo aspetto fondamentale delle nostre istituzioni, allora si finirà col considerare
come “normali” o di “poco conto” forme di censura, di sanzionamento e di
polizia privata che nulla hanno a che fare con esse e che quindi potrebbero
tranquillamente trovare spazio in provvedimenti giudiziari in grado di mettervi
fine.
Yvan Rettore
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