giovedì 30 agosto 2018

IL VIAGGIO DELLO ZUCCHERO

Il maggior produttore attuale di zucchero al mondo è il Brasile. 
Lo è sempre stato, ma fino agli anni '80 il suo dominio nel settore non era così imponente come oggi.
Fino a quel decennio, l'Italia riusciva a soddisfare il proprio consumo interno attraverso una coltura secolare di barbabietole che producevano uno zucchero di ottima qualità.
Il Veneto era la regione leader in tale produzione, ma anche altre regioni del Centro Nord erano molto attive nel settore.
La produzione di zucchero dava lavoro non soltanto a una miriade di aziende agricole, ma anche a parecchi zuccherifici in cui spesso e volentieri lavorano addirittura intere famiglie.
Società di trasporto, indotto per la manutenzione di apparecchiature la raffinazione, aziende portuali (perché parte dello zucchero veniva anche esportato) completavano un mondo di lavoratori costituito da diverse migliaia di individui.
Ma poi ci si mise la logica spietata del capitale.
Lo zucchero brasiliano (realizzato attraverso la coltura della canna) costava molto meno e il mondo del capitale cominciò a valutare che sarebbe stato meglio orientare la produzione di zucchero interamente o quasi in quel paese.
E quindi a partire dagli anni '70, le multinazionali del settore con l'appoggio incondizionato di un governo fascista amico che governava lo stato sudamericano dal 1964, decisero di attuare la svolta. 
Migliaia di ettari di terreno furono letteralmente espropriati ad un numero impressionante di agricoltori che vi coltivavano prodotti destinati alla loro sussistenza quotidiana: manioca, mais, frutteti e altro.
I pochi che tentarono di opporsi furono brutalmente costretti ad adeguarsi al nuovo corso e si trovarono insieme a tutti gli altri proprietari spodestati a diventare dipendenti delle multinazionali che si erano accaparrate dei loro terreni con la forza.
In pratica diventarono nuovi schiavi costretti a lavorare in campi di canna da zucchero per pochi soldi che spesso non bastavano manco a sfamare le loro famiglie.
Grazie a questa manovra e all'aumento impressionante della produzione a prezzi stracciati, le esportazioni di zucchero di canna esplosero nel decennio successivo tanto da mettere in ginocchio le attività italiane che operavano intorno alla produzione di zucchero di barbabietola.
Anche se lo zucchero di barbabietola è notoriamente di migliore qualità di quello di canna, non ci fu nulla da fare e negli anni '90, la produzione nostrana di zucchero fu praticamente quasi del tutto abbandonata e sostituita da campi di mais, la cui produzione risulta più costosa e dannosa per l'ambiente.
I risultati di questa squallida manovra speculativa sono praticamente tutti negativi: messa in povertà e stato di quasi schiavitù di migliaia di proprietari agricoli brasiliani, incremento dell'inquinamento per via del trasporto via nave e poi camion dello zucchero di canna prodotto in Brasile, distruzione di un intero tessuto produttivo benefico e di durata secolare nel nostro paese e consumo generalizzato di un prodotto di qualità nettamente inferiore rispetto al precedente. 
I capitalisti coinvolti nell'impresa si sono rimpinguati le tasche in modo sfacciato sulle spalle di interi stati e negli anni '80 hanno esteso i loro profitti con la coltura della canna da zucchero, quando venne deciso di usare l'alcol che si poteva realizzarne come combustibile per veicoli. 
In prima fila in questo nuovo business ci fu pure la Ferruzzi-Gardini, nota multinazionale italiana dell'epoca che aveva interessi colossali anche nel settore della chimica (il polo Enimont in quelli anni era fra le prime dieci aziende mondiali del settore).
Questa logica del capitale è la dimostrazione palese di quanto possa essere distruttiva per l'esistenza degli esseri umani e la salvaguardia dell'ambiente e può essere tranquillamente replicata per diverse tipologie di prodotti agricoli o zootecnici provenienti dal Sud del mondo.
Pensateci quando mettete un po' di zucchero nel vostro caffè!

Yvan Rettore



domenica 19 agosto 2018

LE IDEOLOGIE NON SONO MORTE

Come ogni pensiero umano, idee e progetti mutano a seconda della evoluzione della società in cui si vive. 
Le ideologie non sono morte, ma devono essere adeguate alle nuove esigenze e necessità del nostro tempo e fare leva sulla conoscenza e l'incontro con gli altri in opposizione all'appiattimento delle coscienze imposto con successo dal sistema neoliberista dagli anni '80 in poi e ora giunto al suo apice ma anche prossimo declino. 
Ci sono già movimenti e personalità autorevoli che hanno cominciato a farlo in giro per il mondo, mentre in Occidente si è ancora in una fase di studio, perché l'individualismo e la mancanza di senso di comunità sono ancora dominanti. 
Ma è solo una questione di tempo ormai.

Yvan Rettore 


USCIRE DALLA RETE

La rete e in particolare i social hanno il grande difetto di portarti a generalizzare situazioni e comportamenti che invece sono molto spesso caratteristici di una minoranza di individui. Siamo ormai abituati ad agire sulla base della diffusione e percezione soggettiva di migliaia di immagini quotidiane che invadono la nostra vita, mentre la realtà delle cose appare ben diversa da questa ubriacatura mediatica. 
Il paese è ben migliore di quello rappresentato (volutamente?) da questi mezzi mediatici, ma non fa notizia, opera nell'ombra e agisce nel silenzio dei più, ma esiste ed è vivo più che mai. 
Lo si è visto nel corso delle recente tragedia di Genova, ma lo si può notare ogni giorno nelle azioni quotidiane di chi agisce con senso di responsabilità e per cercare di mandare avanti le cose nel migliore dei modi nonostante la presenza di una classe dirigente mediocre ai vertici del paese.
Basta cominciare ad aprire gli occhi e uscire dalla rete.

Yvan Rettore

 

venerdì 17 agosto 2018

NON BASTA UN VESTITO A DIMOSTRARE L'EMANCIPAZIONE FEMMINILE!

Alla fine della fiera, l'aspetto vestimentare dovrebbe essere una libera scelta e comunque è singolare che in Occidente non ci si scandalizzi nel vedere suore ultravestite e all'estremo opposto donne con seni e parti intime quasi del tutto esposte al pubblico. 
La cosa che fa sorridere è che i paesi che l'Occidente considera spesso inferiori hanno avuto leader e presidenti femminili (cosa che nella tanto emancipata Italia esiste in modo riduttivo). 
Argentina, Cile, Brasile, Nicaragua, India, Pakistan, Birmania, Filippine, Liberia ne sono la dimostrazione e guarda caso il paese con più presenze femminili in Parlamento non è un paese nordico ma una nazione africana: il Ruanda! 
Questo per dire che l'aspetto vestimentare non è affatto indice di emancipazione femminile, come pure il fatto che una donna diventi presidente di uno Stato, ma già che questo fatto sia potuto accadere dimostra che nella società una certa evoluzione c'è, nonostante la presenza di non poche contraddizioni (divieto di abortire in Argentina, condizione di subalternità generalizzata ancora diffusa della donna in Pakistan e India, ecc....). 
Aggiungo che il modo di vestirsi non è una cosa statica e definita una volta per tutte, ma che evolve o involve a seconda della società in cui si vive. 
I casi dell'Iran e dell'Afghanistan sono emblematici a riguardo dopo il crollo delle rispettive monarchie. 
Anche nel nostro paese, le cose sono molto cambiate rispetto al ventennio fascista e all'immediato dopoguerra. 
Nella società contadina infatti, le donne dovevano avere sempre il capo coperto e solo in montagna questa usanza non era così rigorosa, il vestito nero in segno di lutto è ancora in uso in alcune zone del nostro paese e perfino le donne agiate dovevano uscire con capellini (spesso ridicoli) in testa. 
Per non parlare di quando le donne andavano in spiaggia quasi del tutto vestite, mentre oggi ci sono perfino spiagge riservate ai nudisti. 
Concludo ribadendo che come vestirsi dovrebbe essere sempre una libera scelta seppure sottoposta ad influenze inevitabili provenienti dalla società in cui si vive e che dovrebbe essere dettata anche (e possibilmente) dal buon gusto (ma questo aspetto rimane comunque soggettivo).

Yvan Rettore


giovedì 16 agosto 2018

RISPETTO

Vorrei rispetto
per chi è solo e non ha nulla
per chi non ha una casa
per chi non ha un lavoro
per chi lavora oggi e domani forse no
per chi lavora senza tutele sociali
per chi lavora onestamente
per chi ha un colore della pelle diversa dalla mia
per chi crede in un altro Dio
per chi ha fatto la scelta di non credere in niente
per chi viene da un altro paese
per chi ha un'altra cultura e altre usanze
per chi ama chi è del proprio sesso
per chi fa sesso in modo non tradizionale
per chi fugge da guerre e carestie
per chi è costretto a subire violenze e soprusi
per gli orfani e le ragazze madri
per gli anziani e per i malati
per chi ha problemi di salute e di deambulazione
per chi viene considerato ingiustamente "non normale"
per chi soffre nell'indifferenza dei più
per chi si impegna con e per amore verso il prossimo
per chi lotta per la vita in ogni sua forma
per chi non si sottrae mai alle proprie responsabilità
per chi preferisce il silenzio dei fatti alle parole
per chi riconosce la "parola data" come un valore
per chi non transige sui propri principi
per chi sa farsi da parte quando qualcuno è più bravo di lui
per chi agisce con generosità e senza alcun tornaconto
per chi ama semplicemente la vita!



mercoledì 15 agosto 2018

Il M5S E' SEMPRE INFALLIBILE, MENTRE GLI ALTRI PARTITI NO: E' QUESTO IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO?!

E' davvero patetico vedere i sostenitori del M5S continuare a negare fatti e documenti che dimostrano indiscutibilmente le responsabilità di questo movimento nella vicenda del Ponte Morandi. 
Riconoscere le proprie colpe e responsabilità sarebbe un segno di umiltà e di rispetto verso coloro che sono rimasti vittime di tali atti.
Non farlo invece è solo un sinonimo di arroganza e di cattiveria gratuita che accomuna il M5S alla peggiore partitocrazia partorita dalla mancanza di senso civico imperante in questo paese.
"Cambiare" significa anche cominciare a non ammettere più simili comportamenti e ancor di più quando a compierli sono stati dirigenti e responsabili del partito o movimento che si intende sostenere.
Altrimenti come si fa a parlare ancora di "società civile"?!





giovedì 9 agosto 2018

BRIATORE, FELTRI E SGARBI CONTRO IL SALENTO: VERITÀ O LUOGHI COMUNI?!


In questi ultimi anni si è assistito ad una campagna di accuse e/o affermazioni sprezzanti da parte di alcune personalità del Nord nei confronti di una delle zone più belle d’Italia: il Salento.

A cominciare, è stato Flavio Briatore, uomo d’affari di successo residente all’estero che voleva realizzare a Otranto un resort esclusivo trasformando questa nota località in una specie di Luna Park per gente danarosa. Ovviamente, il personaggio difendeva il suo progetto affermando che avrebbe dato lavoro e sviluppo alla zona considerando però secondario il fatto che avrebbe sconvolto l’assetto di quel territorio. Gli otrantini, non si sono opposti del tutto al progetto, ma si sono dimostrati contrari a farlo secondo il diktat di Briatore, perché non ne volevano sapere di ridurre parte di Otranto ad una meta del jet set internazionale con tanto di devastazione indiscriminata della zona costiera. Contrari ad un turismo di massa, lo sono altrettanto nei confronti di un turismo che privilegi pochi a scapito di tanti, perché da gente di mare considerano la loro terra un approdo che tutti possono avere la possibilità di visitare e attaccati come sono alla loro città non possono di certo accettare che vengano prodotte delle modifiche significative al loro territorio e per giunta senza discuterne con loro in modo sereno e costruttivo. Briatore invece appare di tutt’altra pasta, perché è il classico magnate che pensa che chi ha i soldi può comprarsi tutto e tutti sempre dovunque e comunque e quindi il “No” secco degli otrantini è stato per lui uno smacco bruciante al quale ha replicato con la sua consueta arroganza, insinuando che trattasi di gente priva di iniziativa e di voglia di lavorare. Non contento, ha esteso tale affermazione all’insieme del Meridione. Naturalmente, il signore in questione tralascia il fatto di quanto sfrutta nelle sue strutture gente che viene proprio da quelle zone e si dimentica di quanti lavoratori del Sud hanno reso grandi e vincenti i gruppi industriali del Nord in Italia e nel mondo. Lui, dato che ha soldi a palate, crede di potersi atteggiare a benefattore dell’umanità quando assume del personale sulle cui spalle incrementa quotidianamente il proprio capitale.

Ma ora lasciamo da parte questo capitalista di stile ottocentesco per concentrarci su un certo Vittorio Feltri, noto giornalista, conosciuto più per le sue polemiche che per le sue reali capacità professionali. Questo “lumbard” che odia il mare ha affermato che i pugliesi (stavolta i salentini non erano soli) non sono altro che degli sfaticati e che se continuano così tra qualche lustro a lavorare in quella regione ci saranno soltanto neri provenienti dall’Africa. Detto da un personaggio che fa l’opinionista standosene comodamente seduto nel suo ufficio di Milano, la cosa fa alquanto sorridere. In una terra carente di infrastrutture è ovvio che lo sviluppo venga compromesso e che quindi le possibilità lavorative risultino nettamente inferiori rispetto alla Lombardia del signor Feltri. Tuttavia, anche in una situazione di così grandi difficoltà la maggioranza della gente non si tira mai indietro quando si tratta di rimboccarsi le maniche, alzandosi spesso prima dell’alba e rincasando non di rado oltre le 10 di sera. E questo per pochi Euro all’ora! E se i neri lavorano sodo e sono volonterosi (e ve ne sono più di quanti si creda!), dove sta il problema?! Invece, la verità è che spesso queste persone vengono impiegate attraverso il caporalato nei campi pugliesi e con loro vi sono non pochi italiani a dover subire le stesse condizioni di sfruttamento e di schiavitù. Se poi vogliamo dirla tutta, sarebbe doveroso ricordare che forme di caporalato esistono anche nella “ridente” Lombardia e che tale regione risulta al primo posto in Italia per numero (in termini percentuali) di tossicodipendenti, alcolizzati, cementificazione del territorio, inquinamento e che riguardo al fenomeno mafioso va ormai di pari passo con le regioni storicamente più colpite da questa realtà. Strano che il signor Feltri non si pronunci quasi mai su questi aspetti legati alla sua regione tanto "esemplare"!

L’ultimo ad avere dato il meglio di sé attaccando il Salento, non poteva essere altri che Vittorio Sgarbi, noto critico d’arte, ma mediocre politico che non perde mai occasione per esprimere esternazioni spesso del tutto fuori luogo. Lo spunto stavolta è venuto dalla dichiarazione alquanto avventata rilasciata a mezzo stampa da Don Antonio Bruno, parroco di Lecce che ha affermato che il capoluogo salentino è ormai diventato una mangiatoia (termine che ritengo inappropriato dato che Gesù nacque proprio in una mangiatoia) e che la gente vi si reca solo per mangiare e vivere la movida. Sgarbi ha cavalcato la polemica dicendo addirittura che Lecce è diventata la “pornostar del turismo” e che la sua via centrale appare ormai come un vero e proprio suk (non capisco cosa ci sia di brutto in un suk, considerato che è una delle maggiori attrattive turistiche in diverse località bellissime del mondo arabo).  Le repliche del sindaco e dell’assessore regionale al turismo sono state a mio avviso troppo blande nei confronti di questi personaggi e sarebbe stato opportuno informarli di certe evidenze che hanno trascurato nella loro foga polemica. Innanzitutto, la via principale del centro storico è stretta come pure i vicoli laterali e quindi è ovvio che in certi momenti ci possa essere un po’ di calca. “In certi momenti” non vuole dire "sempre" e basta percorrerle per rendersene conto. Vi sono diversi locali in cui si possono consumare piatti tipici e contrariamente a quanto avviene in altre città, locali di altre culture gastronomiche si trovano prevalentemente fuori dal centro urbano. Altra cosa positiva è la presenza di diverse botteghe artigianali (pietra leccese, cartapesta, ceramica e altro) e banchetti ordinati e non invasivi di artisti di vario genere. Il Parco della Villa Comunale è pulitissimo come il resto del centro storico. Che poi permangano problemi legati alla crescita improvvisa del turismo in città è indubbio, ma la questione deve essere affrontata anche tenendo conto del fatto che Lecce è meta di frequentazioni settimanali di studenti, lavoratori e famiglie perché è la località più importante del Salento e quindi il primo luogo in cui recarsi per la stragrande maggioranza della gente che risiede in quella provincia. Strano che il parroco non se ne sia accorto!  Altrettanto strano che il signor Sgarbi non inveisca con altrettanto fervore contro città del Nord che sono in una situazione ben peggiore di Lecce: da Venezia ridotta ormai ad un autentico Luna Park turistico alla "sua" Ferrara, patrimonio dell’umanità che versa da tempo in un degrado e in un decadimento culturale ed economico che appare ormai irreversibile. Un sito dell’Unesco pieno di sporcizia, di erbacce, di parchi non curati, di marciapiedi e strade disastrate e con una zona  (il famigerato “Gad") ormai militarizzata.
Sgarbi non ne parla mai. Come mai? 
Per fortuna la “Firenze del Sud” non conosce simili fenomeni e può guardare al futuro con ottimismo e speranza.

Yvan Rettore