Il senso
della vista viene spesso usato in modo riduttivo in quanto non ci consente di
percepire la realtà per ciò che è ma unicamente in funzione del nostro modo
quotidiano di focalizzare le immagini.
È
necessario quindi recuperare questo senso preziosissimo della nostra esistenza
emancipandoci da pregiudizi e limiti che sono all’interno di noi.
Il più
delle volte siamo portati a vedere unicamente le cose in funzione delle nostre
aspettative visive e trascuriamo ciò che non ne fa parte.
Interpretiamo
la realtà delle cose in modo così esponenziale da sottometterla ad una del
tutto soggettiva che ci costruiamo attraverso la potenza della nostra mente.
Qualsiasi
individuo ha vissuto nella propria esistenza esperienze sensoriali che portano a
pensare di essere in una situazione priva di uscita o in assenza di una
concreta libertà di scelta.
E la
conseguenza di quei momenti si traduce in una situazione dominata da una longanimità
apparentemente senza fine.
È
fondamentale quindi superare la sfera di ciò che percepiamo con gli occhi.
Questo
perché rimaniamo inconsapevolmente succubi di una visione alterata della realtà
in quanto inondata da limiti e aspettative che non ci consentono di liberarci
dalle catene costruite all’interno del nostro essere.
Non
riusciamo a cogliere il fatto che i nostri occhi sono lì per permetterci di superare
lo spazio percepito, di entrare maggiormente nella profondità delle cose e quindi
di superarne la superficialità e di scoprire ciò che le azioni ripetitive del
nostro vissuto quotidiano celano.
I nostri
occhi ci possono dare la possibilità straordinaria di andare oltre ciò che percepiamo,
di fare spazio ad elementi extrasensoriali assolutamente unici nel loro
genere.
Perciò è
basilare che vengano esercitati nel penetrare all’interno delle cose, di andare
oltre la semplice percezione visiva.
In tal
modo potremo scoprire ciò che emerge perché originale e non banale e saremo in
uno stato tale da consentirci di vivere un nuovo orientamento e reperire un
percorso nuovo da intraprendere che darà una sterzata notevole rispetto a
quanto applicato ripetutamente nel passato.
Quando si
vive nel buio totale, in realtà finiamo col vedere di più.
Per capire
meglio questa evidenza, è consigliabile aprire la vista interiore e chiudere
quella esteriore.
Per
riuscirvi sul piano pratico è sufficiente bendarsi con una fascia di seta o di
raso nera.
Nel proprio
ambito domestico, da soli o con i membri della propria famiglia anch’essi
bendati, si può tentare di svolgere alcune azioni che rientrano nelle nostre
attività quotidiane.
Ci si
sposta da un ambiente ad un altro, si va alla ricerca di una cosa qualsiasi e poi
si tenta di posizionarla in un altro luogo.
In seguito
ci si avvia a realizzare operazioni via via più difficili come recarsi in bagno
e lavarsi le mani, andare in cucina e lavare i piatti, reperire un determinato
libro nello studio, fare il letto, ecc…
Non ci
sono limiti di tempo e nemmeno di prove da fare.
Si
possono fare benissimo tutte quelle che si desiderano fare.
Compreso
mettersi le dita nel naso!
Scherzo,
ovviamente.
Se si è
in compagnia, si possono inventare sul momento giochi o attività da fare
insieme.
Basta che
tutto venga svolto spontaneamente e senza imposizione alcuna.
Realizzando
una simile esperienza si accede a nuovi canali di conoscenza della realtà che
ci circonda.
Il fatto
di non vedere ci consente infatti di scoprire nuove dimensioni percettive, attitudinali
e rientranti nel profondo del nostro essere.
In
assenza totale di capacità visiva, altri elementi appaiono, in particolare
quelli relativi alla sfera delle nostre intuizioni, specie quelle che richiedono
maggiore concentrazione.
La dimensione
dei ricordi legati alla capacità di orientarsi all’interno di un ambiente noto
risalta all’interno del nostro essere.
Altri
sensi si esaltano maggiormente, soprattutto l’udito e l’olfatto, sensi di cui
cogliamo troppo spesso la presenza soltanto quando ci consentono di percepire gli
elementi negativi che possono esserci intorno a noi.
In questo
caso, al contrario diventano alleati preziosi nell’orientarci efficacemente
nello spazio.
Grazie a
questo stato momentaneo di cecità assoluta si coglie il carattere spesso effimero
e abitudinario delle nostre azioni rette da un’infinità di automatismi tali da diventare
incontrollabili e dominanti fino al punto da non permetterci invece di ricorrere
all’uso di altri percorsi, altri “sentieri”, altre vie ben più complete e
arricchenti nel vivere la nostra realtà quotidiana.
Si può
anche andare oltre e scoprire la sfera extrasensoriale e le potenzialità del
tatto, senso spesso trascurato, aggiungendo alla cecità momentanea anche l’isolamento
dell’olfatto e dell’udito.
E ci si
accorgerà sorprendentemente che si può interagire con lo spazio, gli altri e
noi stessi in modo ancora più profondo entrando in una dimensione affascinante
e misteriosa del nostro essere.
Ma questo
è un altro tipo di esperienza meritevole di un approfondimento ulteriore da
farsi in un altro momento.
Yvan
Rettore
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