Leggendo gli ultimi articoli sulla stampa italiana di questi giorni relativi ai cambiamenti climatici, confesso di avere rilevato diversi tratti dogmatici nella difesa ad oltranza degli stessi in particolare nella loro presunta origine antropica.
Vi è infatti una sola visione su questo fenomeno (visto soltanto come un problema), quella catastrofista, basata su elementi comunque contestabili o quantomeno discutibili sul tema e sulla mancata considerazione di altri invece che risultano determinanti quanto fondamentali se si intende davvero avviare un serio approccio scientifico sulla questione.
La scienza si fonda infatti sul dubbio, la condivisione di conoscenze e sul principio di falsificabilità che, guarda caso, manco viene accennato nei vostri articoli.
Non si basa su criteri di tipo "politico", ovvero limitati nell'affermare che visto che la maggioranza degli scienziati è convinta del fondamento di una propria posizione, questa debba per forza essere legge o peggio ancora un dogma che non può mai essere mai messo in discussione.
Se si avvalesse sempre e comunque tale teoria, allora non ci sarebbe più scienza ma un dogmatismo che nulla ha a che vedere con essa.
E non ci sarebbero mai stati scienziati geniali come Galileo o Copernico, che in quanto "minoritari" nella difesa delle loro posizioni scientifiche furono perseguitati o quantomeno osteggiati dalle istituzioni (in particolare clericali) della loro epoca.
Quindi sarebbe utile quando si parla di scienza di dare voce e spazio davvero a tutti e non soltanto ascoltare una campana e lasciare sempre in silenzio quell'altra.
Proprio in virtù anche di una corretta deontologia giornalistica, ritengo che sarebbe doveroso da parte del mondo del giornalismo italiano (e più in generale occidentale) dedicare spazi altrettanto importanti e visibili a scienziati e personaggi autorevoli sull'argomento quali: Claude Allègre, Bjorn Lomborg, Franco Battaglia, Franco Prodi, Carlo Rubbia, Antonio Zichichi e tanti altri oltre ad editorialisti prestigiosi e competenti come Giuseppina Ranali, Leonardo Mazzei o Carlo Papalini.
Si scoprirebbe allora che vi possono essere differenze e manipolazioni sostanziali nel rilevamento delle temperature, che l'inquinamento atmosferico e l'erosione dei suoli sono nemici ben peggiori per la vita di ogni essere vivente, che non bisogna confondere la meteorologia con la climatologia, che conviene adattarsi ai cambiamenti climatici piuttosto che accanirsi a combatterli, che l'urbanizzazione selvaggia a suon di cemento e asfalto ha tolto (e continua a togliere) la presenza massiccia di alberi nelle nostre città compromettendo la qualità dell'aria e facendo balzare alle stelle le temperature estive, che l'IPCC è un organo dell'ONU che non ha assolutamente alcuna autorevolezza scientifica perché composto prevalentemente da funzionari e non da scienziati, che gli uragani stanno diminuendo a livello globale e tanto tanto altro ancora.
Ma soprattutto non si lascerebbe più aperto il dibattito ad un'infinità di tuttologi che ormai dominano quotidianamente la scena del Mainstream, ma esclusivamente alla comunità scientifica che risulta essere l'unica davvero abilitata per parlarne con autorevolezza e credibilità.
Sempre che non si voglia diventare dei fanatici seguaci del catastrofismo climatico come nuova religione del XX secolo e a vantaggio di specifici interessi del mondo del capitale che nulla hanno a che vedere col bene del nostro pianeta.
Perché alla fine della fiera in ambito scientifico contano soltanto i contenuti e non le opinioni.
E dovrebbe essere così anche in altri ambiti.
Yvan Rettore
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