giovedì 1 marzo 2018

IL LAVORO? NO, LA VITA E' ALTRO!

Nel mondo occidentale c'è una vera e propria venerazione del concetto del lavoro. Con l'avvento del capitalismo, questo fenomeno si è affermato ancor maggiormente. Se hai un lavoro vieni considerato socialmente, economicamente e culturalmente. Questo perché attraverso la compensazione monetaria che viene riconosciuta a chi lo svolge, permette a quest'ultimo l'accesso all'acquisto di beni e servizi e di conseguenza di esistere come soggetto consumatore nella società capitalista.
Ma quando una persona si ritrova d'improvviso privata del lavoro, finisce con l'essere esclusa da quest'ultima. Non poter più essere consumatore non comporta soltanto l'impossibilità di acquisire beni e servizi, ma compromette pure le relazioni sociali e culturali: spariscono gli amici, la relazione sentimentale crolla e l'accesso ad una formazione professionale alternativa viene completamente precluso. 
Il lavoro è quindi intimamente legato al consumismo e tale aspetto rende prigioniero ogni individuo nella logica deleteria del capitale. Questi soggioga il lavoratore al punto da fargli accettare un rapporto di totale dipendenza non soltanto nei confronti di coloro che effettivamente lo detengono, ma anche dalla società stessa.
La Sinistra occidentale, contrariamente a quella del socialismo andino, mette ancora oggi al primo posto del suo programma politico il tema del lavoro...sbagliando! Perché se si continua a perseguire ad oltranza la difesa del lavoro, si persiste nel mantenerlo all'interno di un sistema in cui viene svalutato di continuo chi lo svolge, al punto da consacrare la completa dipendenza di quest'ultimo dal sistema stesso. Una autentica forma di schiavitù occulta!
Il punto di partenza dovrebbe essere invece tutt'altro, cominciando con l'affermare che il lavoro dovrebbe sì rimanere uno degli elementi fondanti dell'esistenza umana, ma senza dovere rivestire delle caratteristiche così totalizzanti ed oppressive. Dedicare tra un terzo fino ad oltre la metà della propria vita quotidiana al lavoro non è vivere, ma consumare la vita o meglio ancora distruggerla! Stress, rapporti conflittuali crescenti e costanti, assenza o difficoltà di dialogo, frustrazioni e solitudine sono soltanto alcuni fra i tratti marcanti degli abitanti del mondo occidentale. Di conseguenza la gente finisce col sorridere sempre meno, risulta essere spesso triste, malinconica ed insoddisfatta perché costretta a vivere rinchiusa in una enorme bolla in cui si sente ogni giorno soffocare sempre più.
L'uomo non nasce e non esiste per lavorare, ma per vivere! E vivere significa essenzialmente relazionarsi serenamente prima di tutto con sé stessi e il mondo di cui siamo figli. Scoprire la ricchezza del nostro essere imparando a dialogare col nostro "io" profondo e confrontandoci con il prossimo non per trarne un tornaconto personale, ma per sviluppare un senso di comunità in cui ogni persona conta per ciò che è e non per ciò che ha, questo dovrebbe essere il pilastro di ogni società autenticamente umana, la base di una comunità umana universale!
In un simile contesto, il lavoro si traduce veramente in una emancipazione dell'individuo che lo svolge perché non è più fondato sulla ricerca di una qualsiasi forma di compensazione sociale affermativa del proprio essere, ma come elemento funzionale trainante indispensabile al mantenimento della comunità stessa.
In una prospettiva del genere, collaborazione e dialogo diventano per forza di cose la regola anziché l'eccezione e le istituzioni sono autenticamente una emanazione della comunità. E così che può affermarsi una società civile e solidale nei fatti e non soltanto a parole. Una società finalmente umana!
Oggi, con il livello tecnologico raggiunto, si potrebbe benissimo ridurre il lavoro umano ad un elemento puramente funzionale e residuale nell'ottica della realizzazione di beni e servizi. Si potrebbe quindi lavorare mezza giornata in modo ottimale e vivendo quel momento con piacere e soddisfazione, mentre il tempo restante potrebbe essere dedicato a noi stessi, a relazionarci con gli altri e a svolgere altre attività in grado di emanciparci ulteriormente come persone ed esseri umani.
In conclusione, ritengo che la Sinistra europea, proprio perché "Sinistra", dovrebbe compiere questo salto di qualità al fine di indicare una alternativa credibile e migliore rispetto al sistema attuale che appare sempre più distruttivo e controproducente per l'insieme del genere umano e dell'ecosistema in cui comunque dobbiamo vivere.
"Buen vivir": "vivere bene" e si può riuscirci soltanto ponendo le basi di una società umana e solidale in cui il lavoro continui a risultare una componente fondamentale ma non l'unica e nemmeno quella prioritaria. E si può già cominciare adesso a farlo! Basta volerlo! Tutti insieme!

Yvan Rettore


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