mercoledì 23 febbraio 2022

QUEI POLITICI CHE FANNO I MAGISTRATI AI VERTICI DELLE ISTITUZIONI GIUDIZIARIE

Mattarella, Frattini e Amato hanno diversi punti in comune.

Sono tutti e tre giuristi di alto rango e sono ai vertici delle istituzioni giudiziarie del nostro Paese.
Il primo è acapo del CSM, il secondo del Consiglio di Stato e il terzo della Corte Costituzionale.
Ma ciò che accomuna più di tutto questi tre personaggi è rappresentato dal fatto che hanno tutti un passato (per Mattarella è ancora un presente) politico.
Mattarella, democristiano doc, passato poi al PD, è stato ministro prima di diventare Presidente della Repubblica.
Frattini, forzista della prima ora, è stato ministro e commissario europeo.
Amato, socialista, passato poi al PD, è stato ministro ed è tristemente noto per i suoi trascorsi come Presidente del Consiglio (ad esempio fu il suo primo governo ad inserire la famigerata ICI).
Detto questo, la recente riforma della Giustizia ha sancito che un magistrato che assume incarichi politici a livello istituzionale non può più tornare alla propria professione qualora decida di abbandonare tali mansioni.
Ciò che mi sfugge però è perché non si è deciso è di applicare tale divieto a coloro che avendo fatto per anni politica con incarichi di rilievo, possano continuare a ricoprire senza alcun limite addirittura le posizioni più importanti del sistema giudiziario italiano.
Volenti o nolenti, i tre personaggi sopra indicati sono sicuramente nella situazione ideale per influenzare politicamente le decisioni e le sentenze degli organi che dirigono.
Questo, oltre alle correnti politiche che purtroppo sono da sempre presenti negli stessi rendendo di fatto i vertici della magistratura estremamente politicizzati e dipendenti quindi dai partiti.
Ciò impedisce di fatto una vera e propria indipendenza della magistratura dal potere legislativo e ancor di più da quello esecutivo.
L'assoluta libertà lasciata infatti da tali organi all'attuale governo di calpestare la nostra Costituzione e di ignorare se non spesso violare le norme esistenti è la dimostrazione palese che questo Paese non può più ritenersi democratico.
Ogni democrazia degna di questo nome dovrebbe infatti fondarsi su tre poteri, legislativo, direttivo e giudiziario, indipendenti tra loro e in grado di garantire un equilibrio tale da evitare eccessi che possano costituire una derivata autoritaria se non totalitaria dello Stato.
Lo svuotamento del Parlamento dal suo ruolo legislativo, saldamente ormai in mano all'esecutivo e i vertici della magistratura asserviti alle logiche dello stesso fanno sì che non vi siano più dubbi sulla svolta presidenzialista intesa come anticamera all'instaurazione e al mantenimento di un regime che poco o nulla avrà a che vedere con la democrazia.
I referendum, le elezioni ed il sistema elettorale (tipico della nomenclatura partitica dominante) scelto comunque dai partiti non rappresentano nemmeno loro garanzie di tenuta della stessa in quanto anche nel caso gli esiti di elezioni e votazioni dovessero rivelarsi contrari agli interessi dell'oligarchia al potere , questa non esiterebbe un secondo ad inficiarli.
A questo punto, urge iniziare a pensare e a costruire adesso una società alternativa e autogestita in grado di porsi come antagonista di questo regime e di superarlo progressivamente sposando coerentemente e senza indugio la logica delle cose e dei fatti che prima o poi sommerge sempre chi tenta di opporvisi.

Yvan Rettore




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