Da quando esistono le società
umane varie forme di totalitarismo si sono avvicendate nel corso dei secoli: da
quello tribale a quello teocratico, da quello comunitario a quello aristocratico,
da quello comunista a quello fascista, da quello militare a quello finanziario
e via discorrendo.
Come a voler dimostrare che l’uomo
preferisce generalmente essere succube di uno o più poteri piuttosto che essere
protagonista fino in fondo della propria esistenza facendo sentire la sua voce di
dissenso nei confronti della massa.
Per farlo bisogna però avere la
piena consapevolezza che si deve passare da una situazione passiva ad una
situazione attiva che implica importanti prese di responsabilità sociali e
individuali che non possono più limitarsi alla sola sfera personale e
famigliare.
Ciò richiede coraggio e un forte
spirito di abnegazione in quanto bisogna essere pronti ad accettare come
conseguenza un inevitabile quanto progressivo isolamento sociale perché la
maggior parte degli esseri umani preferisce di gran lunga vivere in uno stato
di schiavitù e accettare quindi di sottomettersi ogni volta al tiranno di
turno.
Le società umane hanno
sperimentato quindi diversi tipi di totalitarismo più o meno visibili ed
estremamente incisivi e presenti in modo spesso soffocante nell’esistenza di
ogni singolo individuo considerato come un oggetto animato da controllare e
manipolare a piacimento da parte di un ristretto gruppo dirigente di persone,
le quali sfruttando questa debolezza congenita di gran parte dell’umanità, si
ritrovano in posizioni di potere che consentono loro non soltanto di godere di
notevoli privilegi ma anche di decidere della vita e della morte di milioni di uomini
e donne.
Da diversi anni ormai, specie in
Occidente si è vissuta (e si continua a vivere) la stagione di un vero e proprio
totalitarismo democratico.
Sembra un paradosso definire così
i nostri sistemi politici, ma in realtà si tratta di una definizione che invece
calza loro proprio a pennello.
Ingenuamente, la maggioranza
della gente crede che il diritto di voto e la libertà di espressione siano
garanzie della tenuta democratica di un Paese.
Purtroppo non è affatto così
perché (a prescindere dal fatto che si vota anche in paesi retti da dittature
assolute come la Cina - esempio lampante di totalitarismo comunista - o l’Iran -
fra gli esempi più significativi di totalitarismo teocratico), se è vero che ai
nostri lidi si può votare apparentemente senza limiti e avendo a disposizione una
presunta scelta fra diversi schieramenti e partiti, in realtà sono tutte sigle
che parlano uno stesso linguaggio, che non propongono mai alcuna alternativa al
modello di società fallimentare in cui viviamo e che accettano passivamente di
sottomettersi alle stesse logiche di potere che influenzano la politica e l’economia
mondiale.
Lo fanno per convenienza perché ormai
la politica, specie in Occidente, è del tutto svincolata dalle drammatiche
situazioni di povertà, insicurezza sociale e incertezze in cui versa una componente
sempre più crescente di cittadini.
I partiti sono diventati veri e
propri comitati d’affari, autoreferenziali e desiderosi unicamente di poter far
vivere a coloro che li dirigono posizioni di potere sicuramente effimere e
passeggere ma colme di privilegi e opportunità per affermarsi socialmente anche
(e soprattutto) senza averne alcun merito.
Ragion per cui non governano, ma si
accontentano soltanto di gestire momentaneamente un potere per conto di una minoranza
di entità che fanno il bello e il cattivo tempo nel nostro Paese fin dai tempi
dell’Unità e che ora si ritrovano ad avere basi ancora più solide grazie alla globalizzazione.
Quindi non è un caso che oggi i parlamenti
legiferano in modo accessorio mentre gli esecutivi lo fanno a titolo
principale, se non esclusivo, emanando decreti-legge a manetta.
Alcuni potranno contestare questa
evidenza affidandosi alla pseudo novità di quelli che la stampa ha definito “partiti
antisistema”.
Quando però li vai ad analizzare
ti rendi conto che non sono poi così diversi dai partiti tradizionali che
dicono di combattere.
Sono in gran parte partiti
personalisti costruiti intorno alla figura di un leader carismatico e dei
classici “quattro amici al bar”, con un gruppo dirigente costituito da
autonominati e da personaggi transfughi di altre formazioni politiche e concentrati
soltanto su alcuni temi attraverso i quali cercano di trovare disperatamente una
matrice identitaria che li distingua dal resto della classe politica.
Ci sono quelli focalizzati su tematiche
contro l’UE, altri su quelle inerenti ai vaccini, altre sui cambiamenti climatici
e così via discorrendo.
Sembra quasi di assistere a dei
consumatori politici che si sono recati ad un supermercato e hanno scelto fra
gli scaffali quali temi potevano essere più congeniali al loro gruppo al fine
di potersi creare un’identità tale da riuscire ad emergere politicamente nel Paese.
Sono strutture di carattere verticistico,
la dialettica con la base vi è scarsa se non del tutto assente e le regole e
iniziative decise dall’alto devono essere seguite da tutti i soggetti attivi
del partito senza batter ciglio.
Se osi pronunciare una voce di dissenso,
vieni immediatamente colpevolizzato e costretto a piegarti, salvo essere poi isolato
e alla fine a dover lasciare il partito.
Non c’è uno straccio di
riferimento in questi partiti alla costruzione di un’alternativa radicale alla
società attuale, non esiste un immaginario di gruppo condivisibile che possa
ridefinire il concetto del lavoro come attività tesa ad emancipare l’uomo e di
un processo produttivo e finanziario effettivamente sostenibile sia a livello
sociale che ambientale…soltanto slogan e punti programmatici buttati qua e là
un tanto al chilo.
Ma l’elemento peggiore che caratterizza
tutti i partiti risiede, come già accennato prima, nel non avere più alcun
nesso diretto con la società civile e di vivere in una nebulosa staccata dalle
vere problematiche umane, proprio perché si comportano come entità di consumo
di “prodotti” politici anziché come espressioni dei disagi e drammi crescenti
che ogni giorno si fanno sempre più spazio ai nostri lidi e che rimangono in
gran parte ignorati sia dalla stampa che da una classe dirigente interessata essenzialmente
a ciò che può consentirle di mantenersi in essere e di entrare prima o poi alla
tavola imbandita dei privilegi presenti a iosa in caso di accesso ad una posizione
di potere politico.
Il totalitarismo democratico si è
imposto così in modo dominante perché la politica viene vissuta da coloro che se
ne fanno interpreti esattamente come un’attività caratterizzante quella di
consumatori che di volta in volta scelgono ciò che a loro più conviene nel “supermercato”
dei temi sociali, politici, culturali, ambientali ed economici sia per rinforzarsi
come gruppo dirigente all’interno delle loro rispettive compagini politiche sia
per riuscire ad arrivare all’ambita poltrona di eletto o nominato in una
qualsiasi istituzione.
Il superamento del totalitarismo
democratico potrà attuarsi soltanto nell’unione di tutte le entità e persone
che lottano ancora strenuamente per la difesa dei diritti sociali, umani e
ambientali nelle varie zone dei nostri Paesi, spesso in modo isolato e con
pochi mezzi finanziari, ma con una volontà indomita di non arrendersi perché
certi di essere nel giusto e di operare per il bene di tutti e non soltanto di
un ristretto gruppo di persone privilegiate prive di scrupoli che hanno a cuore
soltanto il soddisfacimento delle esigenze derivanti dalla loro squallida
megalomania e altezzosità del tutto ingiustificate.
Yvan Rettore
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