Il 25 novembre è una giornata internazionale sancita dall'ONU per sensibilizzare la gente comune sul fatto che debba essere del tutto eliminata la violenza sulle donne.
Fu istituita nel 1999, in ricordo delle tre sorelle Mirabal, trucidate il 25 novembre 1960 perché contrarie alla dittatura del generale Trujillo nella Repubblica Domenicana.
Durante questa giornata è in uso da alcuni anni esporre nelle piazze delle scarpette rosse, in ricordo delle centinaia di donne stuprate e assassinate nella città di Ciudad Juarez, in Messico.
Tale iniziativa fu realizzata la prima volta dall’artista messicana Elina Chauvet nella sua istallazione “Scarpette rosse” di fronte al consolato messicano di El Paso in Texas.
In quell'occasione, l'artista volle ricordare la scomparsa della sorella a soli 22 anni per mano del suo compagno.
Immagino che parecchie persone non conoscano tali fatti, compresi diversi amministratori locali che si stanno impegnando nel prossimo weekend ad organizzare varie manifestazioni in occasione della giornata del 25 novembre.
Nulla di sorprendente, vista la superficialità dilagante e mortificante che ormai accompagna simili eventi.
Dico questo perché quando si parla di violenze sulle donne bisognerebbe farlo in senso lato, non soltanto in riferimento alla potenziale oppressione maschile nei confronti di queste ultime.
Le violenze sulle donne non sono soltanto quelle in ambito famigliare, nella vita di coppia o nei confronti delle figlie, ma anche quelle che avvengono attraverso gli interventi blandi (sempre che ci siano) delle istituzioni e l'indifferenza di gran parte della società, entità queste ultime che hanno scarsa considerazione (spesso manco c'è) nei riguardi delle ragazze madri, delle donne disabili o autistiche, delle donne anziane, delle bambine orfane e infine di tutte quelle donne costrette a subire vessazioni infinite e continue sul piano sociale e umano per via di situazioni esistenziali difficili che non hanno scelto ma che condizionano ogni giorno la loro vita e che devono comunque affrontare per difendere la loro dignità e assumersi le proprie responsabilità.
Spesso o quasi sempre ci si dimentica di queste donne, anzi permane un silenzio assordante nei loro confronti.
Come pure non vengono mai considerati tutti gli uomini autenticamente buoni (e sono molti di più di quanti si possa immaginare) che subiscono forme di ingiustizie e violenze di ogni genere sia in ambito famigliare che lavorativo.
Dove sta scritto che le violenze riguardano soltanto il genere femminile?
Perché non se ne fa manco cenno nel mainstream o perché non fanno statistica, quelle sugli uomini sono da ritenersi meno importanti e non degne di nota?
Quindi visto che si parla (o si sparla) tanto in questi ultimi anni di pari opportunità e di quote rose, non sarebbe finalmente giunto il momento di superare concretamente le distinzioni uomo-donna anche in occasione di simili eventi, specie se si pensa che qualsiasi tipo di violenza può potenzialmente colpire ogni essere umano al di là di ogni differenza di genere?
Finché non si deciderà di andare radicalmente in tale direzione si rischierà di continuare a vivere in una società in cui la donna verrà sempre definita come il sesso debole e si rimarrà confinati alle logiche perverse e distruttive di un maschilismo che favorisce tale condizione di inferiorità del tutto ingiustificata e che persisterà quindi nell'essere accettata passivamente dalle donne stesse.
Superare questa realtà retrograda in un'epoca marcata da espressioni marcate di intolleranze e di divisioni costituirebbe un'evoluzione notevole non soltanto sul piano sociale, ma anche e soprattutto culturale a dimostrazione che un simile progresso umano può materializzarsi soltanto in tali ambiti e non limitandosi ad iniziative politiche che, pur lodevoli nelle intenzioni, finiscono con il fossilizzarsi in una dimensione regressiva e non emancipatrice dell'essere umano in senso lato.
Quindi ben venga una "Giornata Internazionale contro ogni forma di violenza sugli esseri umani".
Yvan Rettore