mercoledì 6 marzo 2024

8 MARZO: L'ENNESIMA RICORRENZA CHE TRALASCIA LE DONNE "INVISIBILI"

 Anche quest'anno ricorrerà per l'ennesima volta la Festa della Donna, una giornata in cui dovrebbe essere considerato maggiormente il valore delle donne che ancora troppo spesso vengono discriminate, usate e abusate nelle nostre società contemporanee.

Ciò che purtroppo constato in questo tipo di eventi è che perfino nella loro realizzazione queste dinamiche vengono perpetrate senza alcun ritegno dagli organizzatori e conduttori.

Si realizzano convegni, incontri pubblici e altre manifestazioni in cui viene data la parola esclusivamente a donne di successo, personalità importanti che hanno incarichi di rilievo e spesso di bella presenza.

Il messaggio che si intende dare quindi esula dal significato stesso di questa giornata perché fondato invece sul perseguimento del successo come unico simbolo di affermazione sociale degno di questo nome.

Come a voler dimostrare che le donne di successo sono sempre senza macchia e da prendere ad esempio per riuscire ad emergere dall'anonimato e migliorare la propria condizione.

Ovviamente essere una persona di successo non sta affatto a significare tutto questo, perché come esseri umani sono individui comunque con difetti e debolezze che però non appaiono pubblicamente perché nelle sedi in cui si espongono tali imperfezioni non appaiono.

Personalmente sono davvero stanco di queste kermesse in cui sfilano personaggi che devono essere considerati modelli da seguire.

E questo va ben oltre quelle che avvengono puntualmente in occasione della Festa della Donna.

Penso che sarebbe bello invece realizzare eventi che riescano ad andare in un senso diametralmente opposto in cui possano venire esaltate le figure di donne comuni, quei milioni di "donne invisibili" che attraverso i loro sacrifici e opere quotidiane per la famiglia e il bene comune, si adoperano senza sosta e con orari giornalieri che tra casa e lavoro vanno ben oltre le otto ore canoniche previste di solito a livello professionale.

Vorrei sentire le voci di donne non appariscenti, di donne costrette a tirare su la loro prole in perfetta solitudine, di donne disabili che a causa della loro condizione si ritrovano ad essere ancora più discriminate, di donne che hanno tanti sogni ma che ogni giorno della loro esistenza riescono a diffondere un amore e un'abnegazione che le rendono davvero degli esseri umani meravigliosi, di ragazze che stanno per diventare donne con tutte le loro aspirazioni e progetti di vita, di nonne e donne anziane che spesso soffrono in silenzio per l'isolamento forzato in cui sono state relegate dai loro stessi famigliari.

Donne comuni, estranee al mondo dei VIP, donne non di successo, ma di fatica, semplicemente Donne con la D, quegli esseri umani in grado di dare la vita e di renderla ancora più bella grazie alla loro straordinaria presenza.

Ecco, è questo e tanto altro che vorrei venisse davvero messo in mostra durante i tanti eventi che si fanno ogni anno nel corso di questa giornata, contenuti veri e genuini e non sfilate di persone di successo e altolocate destinate soltanto ad alimentare effimeri momenti di autoreferenzialità e nient'altro.


Yvan Rettore




mercoledì 7 febbraio 2024

CHI O COSA DETERMINA CIÒ CHE È GIUSTO? LA LIBERTÀ HA SENSO SOLTANTO QUANDO ACQUISISCE UNA DIMENSIONE SOCIALE

 

Chi o cosa determina ciò che è giusto?

Sono i totalitarismi che impongono concetti arbitrari di ciò che è giusto e sbagliato, ledendo la libertà degli individui e creando una società di oppressi.

Invece, la libertà inserita in un contesto comunitario fatto di doveri e diritti (accettati come pilastri di una società civile da tutti i suoi membri) significa agire in modo tale da non violare questi ultimi né su un piano individuale, né su un piano collettivo, onde non causare danni né all'uno, né all'altro.

È in una simile dimensione duale che si definisce di volta in volta ciò che è giusto e ciò che è sbagliato fare e quindi la libertà di fare ciò che si vuole in quel contesto.

È esattamente quanto avveniva nelle società dei nativi in assenza di uno Stato ma in presenza di regole e comportamenti da adottare sia per il bene del gruppo che per il proprio.

Un altro esempio analogo più recente è quello rappresentato dalle società curde in cui si è affermato il concetto di un centralismo democratico che ha consentito in ambiti fortemente comunitari di garantire pure un'emancipazione femminile sorprendente (estranea a non poche società mediorientali) e la conservazione di un'identità che altrimenti sarebbe stata annientata dai rispettivi regimi in cui questa etnia si trova sparsa.

Queste esperienze umane sono esattamente agli antipodi di quanto avviene in Occidente in cui appunto la libertà viene definita, espressa e garantita unicamente a livello individuale, in particolare quando viene circoscritta al raggiungimento di un profitto che rimane un concetto del tutto intoccabile e sacro (e per la cui realizzazione è tranquillamente consentito nei fatti trascendere qualsiasi valore umano), mentre su un piano collettivo si riassume in un conformismo che appiattisce ogni forma di pensiero e di intelletto, elementi che dovrebbero costituire il sale di qualsiasi evoluzione di società umana.

Quindi il problema non è la libertà in sé, ma in virtù di come viene concepita e applicata.

E quando si ritrova ad esserlo senza limiti e rivolta soltanto all'ottenimento di un mero tornaconto personale allora ha un effetto distruttivo per l'insieme della società perché appare del tutto svincolata dalla sua dimensione sociale che a quel punto non viene manco considerata, al punto da rendere materiali i rapporti tra ogni singolo soggetto.

 

Yvan Rettore




LA PORNOGRAFIA È UNA QUESTIONE SESSISTA?


Considerare la pornografia come un’attività di degradazione del corpo femminile non è soltanto riduttivo, ma anche profondamente ingiusto perché trattasi di una questione che riguarda ambo i sessi.

Invece nella nostra società si è ancora abituati a puntare il dito contro le attrici pornostar al pari di quanto si direbbe delle prostitute, mentre una medesima condanna appare blanda se non addirittura inesistente nei confronti del sesso forte che conta non pochi esponenti nostrani di fama internazionale, primo fra tutti un certo Rocco Siffredi, che viene intervistato largamente dai media e invitato senza remore da varie trasmissioni della TV generalista.

A prescindere dalle scelte operate da coloro che hanno deciso di attivarsi professionalmente nel cinema pornografico, trovo del tutto ingiustificata questa differenza di trattamento.

Condannare a spada tratta le donne ma non farlo nei riguardi degli uomini è l’espressione di un sessismo che invece di riuscire ad abiurare tale fenomeno lo alimenta ulteriormente.

Sarebbe ora che si superasse un certo femminismo stantio e fermo agli anni ’70, ma cominciare invece ad operare un’analisi più approfondita delle ragioni che hanno consentito a tale genere cinematografico di farsi sempre più spazio, soprattutto in paesi come il nostro nel quale siamo ancora ben lontani dall’aver raggiunto una vera e propria emancipazione sessuale.

Non è certo nell’aver consentito la diffusione a man bassa della pornografia per gli evidenti introiti astronomici (nell’era di internet si stanno amplificando ancora maggiormente grazie anche alla diffusione esponenziale dei social) che esso genera, che si può affermare che essa sia così generalizzata e concretizzata.

Anzi.

A prescindere dalle differenze purtroppo ancora persistenti tra Nord e Sud e tra località di provincia e grandi città, permane invece l’impressione che la pornografia stia prendendo un ulteriore slancio proprio per il fatto che prevale una crescente frustrazione e superficialità nei rapporti umani che avvengono all’interno della nostra società.

Relazioni sempre più costruite sulla base di interessi e non sulla condivisione di valori comuni generano evidenti difficoltà di espressione a tutti i livelli e quindi anche sul piano sessuale, permane ancora radicato un certo maschilismo che considera la donna soprattutto come un semplice oggetto di piacere mentre a contrastarlo vi è una massa crescente di donne che non accettano più di essere trattate come delle bamboline prive di cervello e che rivendicano quindi di essere rispettate come esseri umani pensanti e con capacità che sempre più spesso riescono a superare quelle dei maschi.

Entrambi i sessi si ritrovano quindi a non essere emancipati sessualmente o comunque non del tutto perché risultano apparentemente incompatibili.

Se invece ci fosse una vera e propria armonia tra essi, ciò significherebbe che ci sarebbero uomini capaci di coinvolgere davvero la propria partner sessualmente andando oltre la sola soddisfazione della propria libido e da parte delle donne la capacità di lasciarsi andare del tutto anche nella scoperta di nuove esperienze fisiche e mentali, perché consapevoli di essere anch’esse protagoniste dell’atto sessuale e di essere davvero considerate alla pari dal proprio partner in questo.

Di conseguenza per riuscire a far sì che la pornografia possa finalmente avviarsi ad un possibile quanto auspicabile declino, non basta di certo limitarsi a fare i moralisti condannandone gli eccessi e coloro che ne sono protagonisti sia come attori che come produttori, ma operare affinché il sesso venga vissuto come un atto autenticamente emancipatorio ed identificativo di ogni individuo e non come espressione di un momento di frustrazione da una parte e di mera soddisfazione animalesca dall’altra.

Certo che la diffusione dei social, in particolare di instagram e di tik tok non favorisce affatto tale processo, specie fra i giovani che pensano di poter costruirsi un futuro attraverso l’esposizione continua dei loro corpi in rete, ma la cosa confortante è forse dovuta al fatto che la vita stessa prima o poi li metterà di fronte alla realtà implacabile delle cose facendoli superare questa fase insicura ed immatura.

La questione è e sarà semmai di vedere quanti di loro riusciranno effettivamente a superare effettivamente tale fase.

Risposte esaurienti a riguardo ancora non ce ne sono vista l’apparizione recente di tale fenomeno.

 

Yvan Rettore





domenica 21 gennaio 2024

IL TOTALITARISMO DEMOCRATICO: UNA DITTATURA SUBDOLA, QUASI INVISIBILE AI PIÙ

 

 

Da quando esistono le società umane varie forme di totalitarismo si sono avvicendate nel corso dei secoli: da quello tribale a quello teocratico, da quello comunitario a quello aristocratico, da quello comunista a quello fascista, da quello militare a quello finanziario e via discorrendo.

Come a voler dimostrare che l’uomo preferisce generalmente essere succube di uno o più poteri piuttosto che essere protagonista fino in fondo della propria esistenza facendo sentire la sua voce di dissenso nei confronti della massa.

Per farlo bisogna però avere la piena consapevolezza che si deve passare da una situazione passiva ad una situazione attiva che implica importanti prese di responsabilità sociali e individuali che non possono più limitarsi alla sola sfera personale e famigliare.

Ciò richiede coraggio e un forte spirito di abnegazione in quanto bisogna essere pronti ad accettare come conseguenza un inevitabile quanto progressivo isolamento sociale perché la maggior parte degli esseri umani preferisce di gran lunga vivere in uno stato di schiavitù e accettare quindi di sottomettersi ogni volta al tiranno di turno.

Le società umane hanno sperimentato quindi diversi tipi di totalitarismo più o meno visibili ed estremamente incisivi e presenti in modo spesso soffocante nell’esistenza di ogni singolo individuo considerato come un oggetto animato da controllare e manipolare a piacimento da parte di un ristretto gruppo dirigente di persone, le quali sfruttando questa debolezza congenita di gran parte dell’umanità, si ritrovano in posizioni di potere che consentono loro non soltanto di godere di notevoli privilegi ma anche di decidere della vita e della morte di milioni di uomini e donne.

Da diversi anni ormai, specie in Occidente si è vissuta (e si continua a vivere) la stagione di un vero e proprio totalitarismo democratico.

Sembra un paradosso definire così i nostri sistemi politici, ma in realtà si tratta di una definizione che invece calza loro proprio a pennello.

Ingenuamente, la maggioranza della gente crede che il diritto di voto e la libertà di espressione siano garanzie della tenuta democratica di un Paese.

Purtroppo non è affatto così perché (a prescindere dal fatto che si vota anche in paesi retti da dittature assolute come la Cina - esempio lampante di totalitarismo comunista - o l’Iran - fra gli esempi più significativi di totalitarismo teocratico), se è vero che ai nostri lidi si può votare apparentemente senza limiti e avendo a disposizione una presunta scelta fra diversi schieramenti e partiti, in realtà sono tutte sigle che parlano uno stesso linguaggio, che non propongono mai alcuna alternativa al modello di società fallimentare in cui viviamo e che accettano passivamente di sottomettersi alle stesse logiche di potere che influenzano la politica e l’economia mondiale.

Lo fanno per convenienza perché ormai la politica, specie in Occidente, è del tutto svincolata dalle drammatiche situazioni di povertà, insicurezza sociale e incertezze in cui versa una componente sempre più crescente di cittadini.

I partiti sono diventati veri e propri comitati d’affari, autoreferenziali e desiderosi unicamente di poter far vivere a coloro che li dirigono posizioni di potere sicuramente effimere e passeggere ma colme di privilegi e opportunità per affermarsi socialmente anche (e soprattutto) senza averne alcun merito.

Ragion per cui non governano, ma si accontentano soltanto di gestire momentaneamente un potere per conto di una minoranza di entità che fanno il bello e il cattivo tempo nel nostro Paese fin dai tempi dell’Unità e che ora si ritrovano ad avere basi ancora più solide grazie alla globalizzazione.

Quindi non è un caso che oggi i parlamenti legiferano in modo accessorio mentre gli esecutivi lo fanno a titolo principale, se non esclusivo, emanando decreti-legge a manetta.

Alcuni potranno contestare questa evidenza affidandosi alla pseudo novità di quelli che la stampa ha definito “partiti antisistema”.

Quando però li vai ad analizzare ti rendi conto che non sono poi così diversi dai partiti tradizionali che dicono di combattere.

Sono in gran parte partiti personalisti costruiti intorno alla figura di un leader carismatico e dei classici “quattro amici al bar”, con un gruppo dirigente costituito da autonominati e da personaggi transfughi di altre formazioni politiche e concentrati soltanto su alcuni temi attraverso i quali cercano di trovare disperatamente una matrice identitaria che li distingua dal resto della classe politica.

Ci sono quelli focalizzati su tematiche contro l’UE, altri su quelle inerenti ai vaccini, altre sui cambiamenti climatici e così via discorrendo.

Sembra quasi di assistere a dei consumatori politici che si sono recati ad un supermercato e hanno scelto fra gli scaffali quali temi potevano essere più congeniali al loro gruppo al fine di potersi creare un’identità tale da riuscire ad emergere politicamente nel Paese.

Sono strutture di carattere verticistico, la dialettica con la base vi è scarsa se non del tutto assente e le regole e iniziative decise dall’alto devono essere seguite da tutti i soggetti attivi del partito senza batter ciglio.

Se osi pronunciare una voce di dissenso, vieni immediatamente colpevolizzato e costretto a piegarti, salvo essere poi isolato e alla fine a dover lasciare il partito.

Non c’è uno straccio di riferimento in questi partiti alla costruzione di un’alternativa radicale alla società attuale, non esiste un immaginario di gruppo condivisibile che possa ridefinire il concetto del lavoro come attività tesa ad emancipare l’uomo e di un processo produttivo e finanziario effettivamente sostenibile sia a livello sociale che ambientale…soltanto slogan e punti programmatici buttati qua e là un tanto al chilo.

Ma l’elemento peggiore che caratterizza tutti i partiti risiede, come già accennato prima, nel non avere più alcun nesso diretto con la società civile e di vivere in una nebulosa staccata dalle vere problematiche umane, proprio perché si comportano come entità di consumo di “prodotti” politici anziché come espressioni dei disagi e drammi crescenti che ogni giorno si fanno sempre più spazio ai nostri lidi e che rimangono in gran parte ignorati sia dalla stampa che da una classe dirigente interessata essenzialmente a ciò che può consentirle di mantenersi in essere e di entrare prima o poi alla tavola imbandita dei privilegi presenti a iosa in caso di accesso ad una posizione di potere politico.

Il totalitarismo democratico si è imposto così in modo dominante perché la politica viene vissuta da coloro che se ne fanno interpreti esattamente come un’attività caratterizzante quella di consumatori che di volta in volta scelgono ciò che a loro più conviene nel “supermercato” dei temi sociali, politici, culturali, ambientali ed economici sia per rinforzarsi come gruppo dirigente all’interno delle loro rispettive compagini politiche sia per riuscire ad arrivare all’ambita poltrona di eletto o nominato in una qualsiasi istituzione.

Il superamento del totalitarismo democratico potrà attuarsi soltanto nell’unione di tutte le entità e persone che lottano ancora strenuamente per la difesa dei diritti sociali, umani e ambientali nelle varie zone dei nostri Paesi, spesso in modo isolato e con pochi mezzi finanziari, ma con una volontà indomita di non arrendersi perché certi di essere nel giusto e di operare per il bene di tutti e non soltanto di un ristretto gruppo di persone privilegiate prive di scrupoli che hanno a cuore soltanto il soddisfacimento delle esigenze derivanti dalla loro squallida megalomania e altezzosità del tutto ingiustificate.

 

Yvan Rettore




 

 

 

domenica 7 gennaio 2024

CONTRADDIZIONI DI UN CITTADINO ITALIANO MODELLO

 

Il cittadino italiano modello è quello che segue fedelmente l’Agenda 2030 dell'ONU sul clima, che crede ciecamente a qualsiasi comunicato dell’OMS, che si informa esclusivamente sulla stampa Mainstream e che si conforma a qualsiasi cosa viene imposta dall’alto.

Incapace di pensare con la propria testa, comunica con gli altri prevalentemente con whatsapp e i social e questo anche se il suo interlocutore si trova a meno di un metro da lui.

È capace di assorbire un quantitativo impressionante di informazioni attraverso i post sui social e i video di qualche minuto su youtube, ma non legge mai libri (sempre che gli capiti di leggerne) che vadano oltre un centinaio di pagine (e sarebbero già troppe!) e comunque che non siano scritti da autori troppo impegnativi e/o impegnati perché essere poi portati a dover elaborare un concetto proprio risulta ormai un’impresa davvero impervia per non dire impossibile.

Il lessico a cui ricorre è estremamente ridotto, usa costantemente anglicismi e/o espressioni anglosassoni di cui spesso non conosce manco il significato, ma che lo rendono maggiormente interessante ai più.

Non sa praticamente più scrivere a mano (a parte forse la firma) e non riesce a fare due conti mentalmente manco quelli di livello elementare.

Sa a malapena che la capitale d’Italia è Roma, ma se gli chiedi dove si trovano certe città, regioni o nazioni, sorge in lui soltanto una patetica confusione che denota un’ignoranza pressoché abissale sull’argomento.

Se poi ti azzardi a cercare di approfondire con lui altri temi di cultura generale, salvati cielo perché come risposte ti arrivano soltanto dei “non so” a raffica.

Del funzionamento delle istituzioni sa poco o nulla e quando va a votare (sempre che lo faccia), sceglie i suoi candidati a casaccio e in modo istintivo o al massimo per tradizione di famiglia o per l’apparenza (l’adagio “l’apparenza inganna” ovviamente gli è del tutto sconosciuto) che ha chi si presenta.

Ha uno stipendio modesto, compra tutto a rate, paga sempre le tasse senza batter ciglio, non cucina mai perché è solito riscaldare tutti i surgelati che acquista, beve bibite gassate e acqua in bottiglie esclusivamente in pet di scarsa qualità, tutti gli alimenti li compera al supermercato, tutti rigorosamente sigillati in confezioni di plastica e/o chiusi dentro scatole dai mille colori.

Ha messo un sacco di piante nel suo appartamento di 50 mq perché dice di amare il verde ma poi rimane indifferente al fatto che hanno raso al suolo tutti gli alberi dei viali sotto casa e che quelli dei parchi sono perlopiù malati o rinsecchiti dall’incuria delle ditte appaltatrici e dallo smog.

Quando d’estate fa un caldo torrido, essendo la sua abitazione circondata da cemento e asfalto, fa andare il condizionatore a mille giorno e notte (alla faccia dell’aumento esponenziale del consumo energetico globale e dell’inquinamento) e anche quando si sposta in auto, anche solo per percorrere qualche centinaio di metri, il motore deve restare sempre acceso perché altrimenti, poverino, come farebbe a respirare senza il climatizzatore funzionante a pompa all’interno del mezzo?

Dovevano essere davvero eroiche le generazioni precedenti che riuscivano a percorrere migliaia di chilometri stipate in utilitarie prive di qualsiasi strumentazione del genere!

La sua macchina è ovviamente un SUV, 100% elettrico (manco a dirlo!), composto da circa 2000 pezzi prevalentemente di plastica non riciclabile (e quindi da incenerire per produrre energia e ovviamente inquinare ulteriormente l’ambiente), da vernici tossiche (perché trattate con un’infinità di elementi chimici pericolosi per la salute e l’ambiente) e il cui motore ha richiesto ingenti operazioni di impiego di materie prime sempre più rare, quasi impossibili da smaltire e con un dispendio di energie e un inquinamento da urlo.

Tutto questo in nome del “climate change” (in inglese fa più “chic”) e dell’Agenda ONU 2030 sul clima, ma poi quando si tratta di percorrere distanze importanti anziché ricorrere al treno, preferisce farlo con l’aereo, perché è un mezzo più veloce e più comodo.

Poi però è il primo a scatenarsi sui social contro le scie chimiche, che va a manifestare con gli ecologisti della domenica in difesa del clima e che è pronto a mangiare cibi in laboratorio (ovviamente prodotti sempre inquinando l’ambiente e con l’aggiunta di additivi chimici a iosa) e/o insetti (tanto a cosa servono, non sapendo nemmeno che sono gli unici e i migliori spazzini che abbia mai generato il nostro ecosistema, di cui garantiscono l’equilibrio armonioso?).

Non pensa (sarebbe chiedergli troppo), gli sfuggono il significato di termini quali “rispetto”, “equilibrio” e “umiltà” perché ormai tutto il suo mondo si riduce alla miseria esistenziale del suo essere insignificante asservito ad un patetico conformismo che ne fa il servo esemplare di qualsiasi regime di stampo totalitario.

E purtroppo è quello oggi dominante in Occidente, non soltanto in Italia.

 

Yvan Rettore




giovedì 4 gennaio 2024

"NOTTE PASOLINIANA”: UNO SPETTACOLO DAVVERO MEDIOCRE CHE NON RENDE AFFATTO ONORE ALLA GRANDEZZA DI CIO' CHE FU PIERPAOLO PASOLINI



Ieri sera si è svolta presso l'ex Chiesa della Favana a Veglie uno spettacolo dal titolo “Notte Pasoliniana”, progetto di Ura Teatro realizzato da Fabrizio PUGLIESE e Fabrizio SACCOMANNO.
Doveva essere un tentativo teso a ripercorrere una parabola umana, quella di Pier Paolo Pasolini, per far rivivere le parole stesse di Pasolini, poesie, prose, sceneggiature, immagini, volti, paesaggi, rievocazioni, pensieri, scritti corsari, riflessioni, lettere private, lettere luterane.
In realtà è stato uno spettacolo estremamente confuso senza alcun filo conduttore in cui i pensieri straordinari di quel grandissimo intellettuale che fu Pierpaolo Pasolini sono venuti fuori spezzettati, martoriati da una retorica a volte del tutto inadeguata (lui non urlava mai) e per nulla corrispondente al personaggio e inseriti in contesti slegati tra loro.
Pasolini fu un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo italiano di notevole spessore.
Dello spettacolo di ieri sera, è rimasto ben poco di ciò che veramente fu.
Poesie e prose buttate qua e là, scritti antisistema espressi a iosa in modo disarticolato ma poco o niente su quelli che invece erano legati a determinate tradizioni e contro il modernismo dirompente dei primi anni '70, nessun cenno sulle canzoni scritte da lui per Gabriella Ferri, Sergio Endrigo e Domenico Modugno, silenzio completo sulla Trilogia della Vita (il Decameron, I racconti di Canterburry e Il fiore delle Mille e una notte) che lo consacrarono come uno dei migliori autori teatrali e cinematografici del suo tempo e nessun approfondimento concreto e coinvolgente sul tema delle borgate romane di cui scrisse ben tre romanzi (Ragazzi di Vita, Una Vita Violenta e Accattone) che fanno da tempo parte integrante della letteratura italiana.
Alla fine è venuto fuori uno spettacolo sfilacciato, incoerente nei contenuti, per non dire banale, lontano sia dalle caratteristiche specifiche del personaggio che dalla profondità e autenticità dei suoi pensieri che non sono stati per nulla espressi in modo efficace e coinvolgente per finire con l'amaro in bocca di avere vissuto un evento che lui stesso avrebbe sicuramente criticato fortemente per le lacune evidenti che ha presentato.
La scena finale piuttosto disgustosa della sua autopsia ha dimostrato la mediocrità complessiva di uno spettacolo che avrebbe potuto essere di ben altro spessore.

Prof. Yvan Rettore




giovedì 21 dicembre 2023

QUANDO L'ISLAMOFOBIA DIVENTA OSSESSIVA

 

L’islamofobia è ormai una consuetudine radicata nei talk show di Mediaset.

A farla da padrona in questa specialità, è “Fuori dal Coro”, diretta da Mario Giordano in onda su Rete4.

Non passa settimana, che non diffonda un’islamofobia costante che a tratti si potrebbe perfino definire ossessiva.

I servizi giornalistici di cui si rende protagonista vengono quindi realizzati con una superficialità e una parzialità davvero sconcertanti e volti a diffondere una propaganda antimusulmana dai toni sempre più esasperanti.

Secondo gli ideatori di questo genere di programmi televisivi, vi sarebbe una vera e propria invasione musulmana dell’Europa.

A prescindere dal fatto che mai nessun musulmano è venuto a bussare alla mia porta per chiedermi di aderire alla sua religione, né a chiedermi finanziamenti per sostenere la sua religione (pratiche che invece sono largamente diffuse nel mondo cattolico e nelle sette nostrane), vi è senz’altro un aumento (comunque limitato) della popolazione di fede islamica nel nostro continente.

Però è doveroso fare gli opportuni distinguo.

Vi sono musulmani presenti da secoli nel nostro continente (specie nei Paesi dell’Est), vi sono varie correnti nell’Islam e la maggioranza degli immigrati presenti in Italia è costituita da cristiani e non da musulmani (corrispondenti ad appena un terzo degli stranieri che vivono nel nostro Paese).

Ci sono poi nette differenze di approccio all’Islam tra un albanese e un pachistano, tra un marocchino e un turco e via discorrendo.

D’altro canto, le moschee non sono chiese ma luoghi di culto in cui non è presente la figura di Allah e in cui l’Imam non è equiparabile alla figura di un prete (non essendoci il sacerdozio nell’Islam) in quanto si tratta soltanto di un esperto religioso accreditato a gestire i momenti di preghiera comunitari volti tutti verso La Mecca.

Il fatto che vi sia stato un aumento esponenziale notevole di queste entità nel nostro Paese in questi anni è dovuto essenzialmente all’incremento della presenza di immigrati aderenti alla confessione musulmana.

Visto che nel mondo cristiano si può fare la messa anche al di fuori di una struttura ecclesiastica, che problemi ci sono nell’ammettere che i musulmani possano farlo a loro volta in tali contesti?

Vi è poi l’abitudine costante di generalizzare i gesti irresponsabili (come ad esempio la distruzione di simboli religiosi cristiani) di alcuni fanatici dementi, le pratiche degradanti nei confronti delle donne (come ad esempio il porto del velo) mai previste dal Corano (ma frutto di un maschilismo radicato in certe culture orientali) e certe usanze gastronomiche discutibili come il consumo della carne Halal (in cui l'animale, non stordito e rivolto verso la Mecca, viene ucciso con una coltello a lama luna e affilata e un taglio unico, che recide giugulare, carotidi, esofago e trachea) all’insieme dei musulmani.

Ho conosciuto personalmente albanesi, berberi, curdi e maghrebini estranei a tutto ciò e quindi queste opere di demonizzazione lasciano davvero il tempo che trovano.

Ho constatato invece in quegli ambienti una capacità di aggregazione e di solidarietà che risultano essere sempre più rari nella cultura occidentale, dominata ormai da un individualismo inumano e da un’assenza di valori che viene via via sostituita sempre più da elementi di omologazione che rappresentano il vero pericolo per quanto riguarda il mantenimento della diversità di identità culturali ancora presenti ai nostri lidi.

Ma è nella trasmissione andata in onda il 20 dicembre scorso che  “Fuori dal Coro” si è davvero superata nella realizzazione di un servizio sulla presunta assenza delle festività natalizie nella città francese di Nantes, incolpando come al solito il mondo musulmano di questo fenomeno.

Niente di più falso, ovviamente!

Il sindaco di Nantes, Johanna Rolland, ha incaricato uno specialista del mondo dello spettacolo e dell’arte, certo Jean Blaise, di realizzare un evento chiamato “Voyage en Hiver” (“Viaggio in Inverno”) che si inserisce come proseguimento di un esperimento estivo che portava lo stesso nome e volto a ridare spessore ed importanza alla creatività e alla cultura di Nantes, nell’ottica di un rilancio della città fortemente voluto inizialmente dai commercianti della città francese dopo gli anni disastrosi del confinamento dovuto al Covid.

Se è vero che a Nantes non vi sono addobbi natalizi è però anche vero che sono presenti i mercatini di Natale con tanto di presenza di Babbo Natale.

Si può essere d’accordo o meno con questa scelta discutibile dell’amministrazione comunale, ma quest’ultima non è assolutamente ascrivibile a richieste specifiche della comunità musulmana presente in città ma piuttosto ad una cultura woke che si sta facendo strada in certi ambienti di Sinistra e che è volta ad annullare progressivamente le tradizioni per tentare di creare delle omologazioni fondate su criteri che soffrono però di una carenza cronica di consenso e di vissuto sociale, perché del tutto estranee alla Storia del territorio in cui cercano di imporsi.

Semmai, è quindi l’espressione effimera di una corrente atea esasperante e materialista che sta tentando di farsi spazio e nulla più.

In tal senso, ritengo che sia più preoccupante nel mondo occidentale il fatto che la nascita di Gesù sia diventato un aspetto commemorativo sempre più secondario e trascurabile di questo periodo di festività, tanto è vero che diversi ormai manco più se la ricordano a testimonianza che il vero nemico da abbattere è il consumismo che ci ha uniformati e ridotto ad essere soggetti consumatori e non pensanti in conformità ad un capitalismo che tende a disumanizzare sempre di più le nostre società.

Altro che una presunta quanto inesistente invasione musulmana dell’Europa!

 

Yvan Rettore